LA PAROLA NEL CUORE – SAN RICCARDO PAMPURI – Angelo Nocent – LINKS GLOBULI ROSSI Company
LA PAROLA
NEL CUORE
LA BIBBIA
NELLO ZAINO
SAN RICCARDO PAMPURI
Medico Chirurgo dei Fatebenefratelli
UNA GIOVANE VITA IN ASCOLTO
PIENAMENTE SOTTOMESSA ALLA PAROLA
LAMPADA DEL SUO CAMMINO
« …Conservo nel mio cuore le tue istruzioni ».
(Sal 119, 11)
« Maria, da parte sua,
custodiva quelle sue parole
e se le ripeteva dentro ».
(Lc 2,19).
Di Angelo Nocent
PREFAZIONE
Oggi, 24 ottobre 2003, festa di San Raffaele Arcangelo, se fosse ancora in vita, San Riccardo Pampuri festeggerebbe il 75° anniversario di professione religiosa. E’ certamente un traguardo difficilmente raggiungibile dai comuni mortali ma noi, trattandosi di un santo, abbiamo tutto il diritto di festeggiare. Farne memoria è come fermarsi ad una sorgente di montagna e dissetarsi: aiuta a riprendere fiato e più speditamente il cammino.
La ricorrenza è un buon pretesto per ricordare questo “contemporaneo” dal fascino particolare. La sua è una breve esistenza ma “donata” a Dio e al prossimo. La gente non ha dimenticato e le nuove generazioni si rivolgono alla sua intercessione sempre più numerose. Lo dimostra la sua tomba visitata da sempre nuovi pellegrini provenienti dall’Italia e dall’estero. E’ come se il santo medico a Trivolzio continuasse la sua attività ambulatoriale. Senza appuntamento ed esenti da ticket, i suoi pazienti si presentano per ottenere cure e guarigione. E’ un passaparola continuo di grazie ricevute che lui ogni giorno strappa al cuore di Dio.
Il Prof. Fernando Michelini, reduce dal campo di concentramento nell’ultima guerra, e il bambino di fiaco, sono i miracolati da San Riccardo Pampuri. Con Giovanni Paolo II nel giorno della canonizzazione. Pittore e architetto, ha costruito ed affrescato chiese e ospedali in Africa e in Terra Santa, sempre gratuitamente. E’ deceduto a 91 anni. FERNANDO MICHELINI
clicca SAN RICCARDO PAMPURI L’INTERCESSORE
Se per i credenti la sua è ancora una presenza operosa nella Comunione dei Santi, oltre che fulgida nella gloria degli altari, per tutti egli è una testimonianza di fede, giovane, stimolante e singolare, vissuta in un’epoca storica assai controversa.
Devo ammettere che il motivo di questa fatica va oltre la ricorrenza: deriva da una certa delusione provata leggendo alcune agiografie in circolazione. Purtroppo, c’è una tendenza a non staccarsi mai dalla riva, ossia dall’ esaltare aspetti della sua vita che, proprio perché non sono né clamorosi né enfatizzabili, portano logicamente a chiedersi come abbia potuto raggiungere la gloria degli altari, a domandarsi in che cosa consista la sua vera santità.
Pesco casualmente in internet:
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“La vita di san Pampuri è esemplare in tal senso. Visse in assoluta semplicità, in un modo senza dubbio paragonabile a quello di un contadino o di un medico di campagna, che nessuno conosceva, noto solo per la bontà e la generosità con cui trattava gli ammalati.
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Trascorse gli ultimi tre anni della sua vita ritirato in un convento nascosto agli occhi del mondo. Lo spettacolo di san Pampuri è questo dimostrarsi della potenza di Dio nella semplicità più assoluta.
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«Il santo semplice» è il titolo di un saggio di Laura Cioni su fra’ Riccardo;
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L’eroica semplicità di san Pampuri traspare anche da un altro bel saggio, quello di Rino Cammilleri.
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Nella vita di san Pampuri, per l’appartenenza a Cristo, il quotidiano diventava eroico e l’eroico quotidiano. Per questo egli è specialmente indicato ad essere spettacolo e forma di vita cristiana per l’oggi”.
Proprio perché queste conclusioni mi sembravano semplificatrici, anch’io mi sono posto la domanda: chi è Erminio Filippo Riccardo Pampuri?
Deciso a trovare una risposta più soddisfacente, ho iniziato la ricerca, scoprendo subito che Riccardo nasce proprio nello stesso anno in cui muore Teresa di Lisieu (1897).
Coincidenza? Forse. O magari la continuità, al maschile, della spiritualità della santa. La lettera che scrive durante il noviziato alla sorella suor Longina, missionaria al Cairo me lo fa presagire:
“Mia carissima Sorella,
grazie della tua ultima lettera e delle tue fervide esortazioni: far sempre la volontà del Signore nell’esatto adempimento dei propri doveri, e in una lotta perseverante, generosa contro le proprie cattive inclinazioni con gli occhi fissi in Dio, nostra ultima meta e Bene supremo, in Gesù nostro modello Divino, sempre più avanzare nella via della perfezione: crescere sotto l’occhio di Dio, questo dovrebbe veramente essere il mio programma, ed in esso dovrei trovare indubbiamente il più grande contento dell’anima e la più grande pace dello spirito. Quando infatti ho perso il bene di tale gaudio e di tale pace, se non forse quando nella mia vita ho perso di vista tale suprema meta e mi sono allontanato da così sicura via?
Gesù Bambino mi insegnerà e mi aiuterà ad accettare e portare almeno con serena rassegnazione, se non con gioia, quelle croci che Egli vorrà permettere o mandare e mi aiuterà pure ad avere sempre viscere di fraterna carità per coloro che nelle Sue mani potranno essere direttamente o indirettamente di tali croci lo strumento provvidenziale.
Il Signore non mancherà di compiere l’opera sua, e di mano in mano che riuscirò a diventare un sempre più buon frate vedrò anche sempre più risplendere in me quella gioia, quel gaudio e quella pace che con tanto amore mi auguri e che di tutto cuore auguro a te pure nella sovrabbondanza delle benedizioni di Dio, soprattutto in queste feste del Santo Natale in cui tutta la Chiesa, anzi tutto il mondo, esulta di riconoscenza e d’amore per il Verbo Divino fattosi per noi uomo come noi, e si è caricato di tutte le nostre iniquità, per fare noi tutti simili a Lui, come Lui figli di Dio qui nella Grazia e nella fede viva, e poi per sempre nel godimento perfetto della sua infinita carità.
Sempre a te unito nel Cuore Sacratissimo di Gesù Bambino coi miei migliori auguri ti saluto.
Brescia, 9 dicembre 1928
Aff.mo fratello Fra Riccardo
Non meno significativa è la seguente:
“Per qualsiasi prova o croce non dovremo però mai perdere quella santa pace e tranquillità che ci viene dalla grazia di Dio e dal nostro pieno e filiale abbandono a Lui, e possibilmente non dovremo perdere nemmeno quella sana allegria che rende più leggero il peso dei quotidiani doveri, e più gradita e giovevole la compagnia nostra agli altri.
Quale grave torto faremo a Nostro Signore se dovessimo servirlo con una spanna di broncio!” (al nipote – 27 Ottobre 1928)
Entrambi, su fronti opposti – la clausura, la gente, l’ospedale - e con psicologie diverse, senza muovere un dito per sollecitare riforme ed aggiornamenti, hanno silenziosamente messo in discussione un certo tipo di vita religiosa, sia monastica che ecclesiale. Entrambi sono passati sulla scena del mondo inosservati e sottovalutati. Ma i risultati non si sono fatti attendere:
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lei, che solo dal 1915 al 1916 ha riempito la terra di quattro milioni di copie della sua autobiografia, canonizzata nel 1925, sarà considerata durante gli anni delle due guerre come amica e conforto di tanti devoti anche tra gli orrori delle trincee e dei campi di concentramento e verrà definita “la fanciulla più amata della terra”;
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lui, che muore a soli 33 anni e pur non avendo scritto un’autobiografia come Teresa, promette leale concorrenza alla giovane carmelitana. Canonizzato nel 1989, la sua fama è in quotidiano crescendo, su vasta scala, nazionale e internazionale.
Che cosa sia l’ “eroica semplicità” io non lo so di preciso. Temendo però le eroiche semplificazioni, me ne starò in guardia. Anche nella santità esiste il rischio di limitarsi a voler annusare il profumo che si espande per l’aria senza sollevare il coperchio per vedere cosa bolle in pentola. Gesù, il Maestro, non insegna a procedere solo con l’olfatto; dice piuttosto: “Venite e vedete”, oppure: “Tommaso, metti il dito, tocca…”
Don Giussani, a proposito del Pampuri, è intervenuto al meeting di Rimini in questi termini: “…Il santo è un uomo vero. Il santo è un vero uomo perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore e di cui è costituito il suo destino. Eticamente tutto ciò significa “fare la volontà di Dio” dentro una umanità che rimane tale e pur diventa diversa» .
Nella santità dell’ultimo secolo mi sembra sia accaduto lo stesso fenomeno che si è verificato nel mondo della pittura. Renoir e company, tanto per citarne uno, hanno un’intuizione nuova ed antica di vedere la realtà: essi la producono con piccoli tratti di colore, di chiaro-scuri accostati, di ombre e di luci, che provocano in definitiva una grande suggestione. La prima impressione è che si tratti di una pittura facile, di una strada accessibile a tutti. Solo chi ha provato a cimentarsi sa che non è vero.
Come Teresa, pure Riccardo ha i suoi detrattori. Non mancano, anche nelle sfere della teologia, coloro che si domandano, perplessi, se presentare la santità in un modo che sembra facile, sorridente, familiare, così lontano dalla santità eroica, impossibile alla massa dei fedeli, improvvisamente a portata di mano di tutti, nel quotidiano, costituita di cose piccole, talvolta banali, fatta di pazienza, di sopportazione, vissuta in aridità interiore congiunta a fede illimitata, non sia santità basata su un equivoco.
Cosa dire? C’è modo e modo di presentare i fatti. Comunque, quando c’è il sospetto che certi comportamenti siano stati travisati e trasformati in pie sdolcinature, le critiche e le ricostruzioni storiche ben vengano a rimettere ordine.
Giova a tutti comprendere meglio la profondità di certe esperienze ed insegnamenti. Vale la pena però di ricordare ciò che un giorno scrisse Bernanos a proposito di insinuazioni su Teresa:
“Il messaggio che questa santa porta al mondo è uno dei più misteriosi e dei più pressanti che esso abbia mai ricevuti. Il mondo sta morendo per mancanza di infanzia ed è proprio contro di essa che i semidei totalitari puntano i loro cannoni e i loro carri armati”.
Riccardo mi sembra la sperimentazione visibile e riuscita di questa preziosa eredità dell’ infanzia spirituale che non è sinonimo di immaturità. Il desiderio di Gesù non lascia dubbi: “Se non diventerete come questi bambini, non entrerete nel regno dei cileli”. Teresa e Riccardo, fisicamente e spiritualmente giovani, sono portatori di un messaggio da tramandare senza esitazioni alle nuove generazioni, sofferenti dello stesso male denunciato dallo scrittore francese.
In una religione di segni, quale è la nostra, essi, più o meno consapevoli hanno fatto proprio il monito deigli antichi profeti d’Israele che, normalmente, sono molto chiari: prima viene il cuore e poi viene il segno della carne. Teresa e Riccardo sanno di essere nella Nuova Alleanza. Ma la novità in che cosa consiste?
Un passo indietro nei secoli con un esperto di Sacra Scrittura, il gesuita Francesco Rossi De Gasperis:
“Il tempio è distrutto, non c’è più! Non ci sono più i sacrifici, non ci sono più i segni, il popolo è portato in esilio. Se prendiamo Geremia ed Ezechiele che sono sacerdoti, essi non hanno mai esercitato l’ufficio sacerdotale perché sono in situazioni di estromissione o in esilio, sui fiumi di Babilonia. E ’ accaduta come una fine del mondo. Ma, proprio quando sembra che non resti più niente, c’è una presa di coscienza: resto io. E allora si scopre che è avvenuta semplicemente la fine di un mondo. Ora c’è un segno molto più eloquente: il luogo del culto è l’essere stesso dell’uomo e della donna, cioè l’essere umano”.
E’ davvero curioso: Teresa e Riccardo faticano tanto per raggiungere il traguardo della “vocazione religiosa”. Per poi rendersi conto che non è questione di essere carmelitano, gesuita o francescano. La vocazione vera è un’altra: io sono chiamato a essere me stesso come partner di Dio.
Qualcuno può storcere il naso. Non sto negando la validità della consacrazione, anzi! Ma proviamo a riflettere: se uno fosse in grado di togliermi tutto, cosa mi resterebbe? Io credo che, se anche mi si togliesse tutto, io ci sarei; ci sarebbe il mio corpo. Ecco la grande scoperta, essenziale nel culto di Dio: il mio corpo!
Ma non perché è pulito, degno, ma perché è il segno, il sacramento della mia fede. Il colmo dei colmi sta proprio qui: sia il giovane corpo di Teresa che il giovane corpo di Riccardo, fanno acqua da tutte le parti. Una donna e un uomo, giovani, con grandi aspirazioni, esiliati nello squallore di una fragile carcassa in preda al medewsimo morbo, la tisi, destinati a misurarsi con una progressiva impotenza. Ed in questo contesto nasce il loro sacerdozio. Non ministeriale, s’intende.
Eresia? No, no, nulla di eretico. Solo una constatazione analogica con il sacerdozio di Cristo. Per capire è opportuno aprie una parentesi per una breve riflessione biblica che meriterebbe più spazio ma già così permetterà di leggere con un diverso spirito i capitoli successivi.
Il p.De Gasperis dice che è proprio “da qui che nasce il sacerdozio di Gesù, perché Gesù si è trovato esattamente in una situazione di esilio.
Lo dice la lettera agli Ebrei:
-
Gesù non era sacerdote e nemmeno poteva esserlo, perché apparteneva alla tribù di Giuda; poteva essere un re deposto, caduto in miseria;
-
Giuseppe non lo era, era infatti un artigiano, non un miserabile certamente e suo figlio era un artigiano, forse un falegname o un fabbro. Quindi un re decaduto, ma certamente non un sacerdote.
-
Gesù non è mai entrato nell’atrio del sacerdote nel tempio di Gerusalemme; non ha mai offerto un sacrificio nel tempio di Gerusalemme. Forse ha portato degli animali, dei piccioni con i genitori o con i discepoli, ma certamente non ha mai esercitato l’ufficio sacerdotale nel suo tempio!
Perché? Gesù che cosa ha voluto dire? Ce lo spiega la lettera agli Ebrei al capitolo decimo!
” Per mezzo di quei sacrifici si rinnovano di anno in anno il ricordo dei peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto nè sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà.
(Ebr 10, 5-7)
Dovremmo apprezzare veramente e profondamente questa lezione e chiderci a che cosa pensiamo quando pensiamo a Gesù, Sommo Sacerdote?
Certo l’Apocalisse ce ne ha ridato un’icona tipicamente sacerdotale e legale insieme, il grande vestito, la cintura d’oro…ma la lettera agli Ebrei ci dice:
“Proprio per questo nei giorni della sua vita egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. 8 Pur essendo Figlio, imparò l`obbedienza dalle cose che patì 9 e,
reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek“ (Ebr 5,7-10).
“Reso perfetto (teleiothèis)” = questo è il verbo che nell’A.T. serve per la consacrazione sacerdotale.
L’ordinazione sacerdotale di Gesù è quando imparò l’obbedienza dalle cose che patì. Il giorno dell’ordinazione sacerdotale di Gesù non è la Cena, ma sulla croce, nudo sulla croce: lì è stato reso perfetto! Lì è stato consacrato sacerdote!
Questo è anche il nostro sacerdozio!
Ricordo bene una trasmissione della radio della comunità ebraica di Roma, molti anni fa, era la festa dei tabernacoli. E nella festa dei tabernacoli, il giudeo osservate deve portare in mano una palma, un cedro, della mirra.
C’era la preghiera di uno nei campi di concentramento che dice:
-
Signore, oggi è la festa dei tabernacoli;
-
dovrei portarti questi frutti, ma non ho niente.
-
Sì, ho qualche cosa, c’è la mia spina dorsale; questa è la palma!
-
C’ho il mio fegato; questo è il cedro!
-
C’ho il mio cuore; qui ti porto la mirra.
-
Ecco, vengo io!
Questo è esattamente il sacerdozio di Gesù. Quel giudeo pregava perfettamente nella linea della Nuova Alleanza! Non c’è più tempio, non c’è più luogo, non c’è più altare, non c’è più sacrificio, non ci sono più gli animali, non ci sono più vesti sacerdotali, non c’è incenso, non c’è organo, non c’è niente! Ci sono io!
Cosa è stato necessario per scoprire la realtà? Che spariscano tutti questi segni esterni, anche se santi; spariscano le immagini, perché l’uomo si è ridotto alla sua nudità davanti a Dio.
Così si riscopre la radice del culto, si riscopre che si può essere membra del popolo di Dio anche fuori di Gerusalemme, anche senza il tempio, anche senza il sacerdozio. Si riscopre il culto esistenziale che è assolutamente primario, proprio perché viene dal mio corpo.
Ora voi capite da dove Paolo tira fuori quell’esortazione della lettera ai Romani, che noi leggiamo in tutte le Lodi delle feste dei santi e delle sante.
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,1-2).
-
“Offrire, presentare”,
-
“Sacrifico vivente, santo e gradito a Dio”:
-
questi sono aggettivi e sostantivi propri del culto del tempio di Gerusalemme.
-
“E’ questo il vostro culto spirituale” (Loghikèn latrèian imòn) = Questo e il culto “logico”, non spirituale, se no sarebbe “pneumatiche”.
Questo è il culto secondo la Parola: vivere secondo parola di Dio, questo è dare culto a Dio.
Certo poi sarà lo Spirito che ci rende capaci di questo.
-
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo”: ecco la circoncisione,
- “ma trasformatevi rinnovando la vostra mente…” (metamorfouste) da “metamorfosis” che vuol dire trasfigurazione.
“Buono, gradito e perfetto” sono aggettivi del culto del tempio di Gerusalemme. Le vittime devono essere maschio, intero, senza difetti, come dice Malachia.
Il coltello che uccide queste vittime è il discernimento spirituale tra ciò che è mondano e ciò che è secondo la parola di Dio. Questa è la santità cristiana. La Chiesa non ha trovato un testo migliore di questo per metterlo nelle Lodi dei santi e delle sante! Vuol dire che riconosce in esso l’essenza della santità cristiana.
- Il culto secondo la vita,
- secondo la parola di Dio,
- che non sia però una lectio divina fatta così all’assemblea,
- ma sia una lectio che produce un discernimento,
- la circoncisione del cuore,
- la circoncisione delle orecchie,
- il sacrificio delle labbra,
- la lode di Dio
- e soprattutto il rimuovere tutto ciò che è mondano per conformarsi alla volontà di Dio.
Ma questo viene dall’esilio, questa è l’applicazione di quello che abbiamo letto di Gesù nella lettera agli Ebrei, e quello che sta scritto nella lettera agli Ebrei viene dal salmo 40, dalla spiritualità dell’esilio; questa è la nostra liturgia!
Allora vedete che la liturgia, la morale, la teologia sono una cosa sola se si va all’osso. La liturgia è l’esistenza umana secondo la Parola di Dio. Che poi questo si faccia rivestendosi di paramenti o quando uno è messo nudo davanti al forno crematorio, come Edith Stein.
- Quella nudità di Auschwitz è una profezia!
- Questo è il culto di Dio: vengo io!
- Questa è la Nuova Alleanza!
La Nuova Alleanza non è iscrizione a un registro; e chi vive questo, vive nella Nuova Alleanza, anche se non è battezzato; vuol dire che ha la fede e la fede viene prima del battesimo. Mentre si può essere battezzati cento volte, ma se uno non ha la fede, non ha proprio niente!
Questa è la prima caratteristica essenziale della Nuova Alleanza, dove il Signore forza il suo popolo a questo. Il Signore è capace di questo: ci può anche togliere tutto perché noi riscopriamo che cosa c’è nel fondo di noi. E allora non pensiamo soltanto come si fa un po’ troppo alla difesa della vita di qui.
Noi siamo preoccupati delle cellule staminali, dell’aborto, dell’embrione, dell’eutanasia, della difesa della vita, dove la vita è soltanto la vita qui su questa terra. Sembra che questa sia oggi la grande battaglia della chiesa, ma la vita è ben altro; continua oltre più in là della morte.
La vita è Dio; è Dio il vivente!
E’ nella pagina della prima creazione, al quinto giorno, quando Dio crea le piante, gli animali e altri viventi, allora dice: E Dio li benedisse!
E così entra la benedizione nella creazione! E la benedizione è ciò che dà il Benedetto, cioè il Signore.
Difendiamo la vita, ma allora confessiamo veramente qual è la vita che portiamo in noi e a quale vita siamo destinati nella pienezza della rivelazione della parola, altrimenti non viviamo secondo la parola di Dio, ma secondo le prescrizioni dei medici!
E chi può parlare al mondo di questa pienezza di vita se non la Chiesa? Perché la Chiesa ce l’ha dal Cristo risorto:
-
è lui il Vivente!
-
E’ lui la misura della nostra vitalità!
-
E’ lui la promessa della nostra longevità!
Ma senza la risurrezione di Gesù, non si saprebbe niente della nostra vita, qual è la stazione finale della nostra esistenza. C’è una preghiera nel libro di Daniele. Il libro di Daniele è scritto nel tempo della persecuzione di Antioco IV (2° sec. a. C.), ma come spesso si fa, anche nelle opere liriche, si rappresenta una situazione presente ricordando una situazione passata, allora Daniele fa una preghiera dopo il cantico di Azaria nella fornace e poi ci illustra questa situazione del popolo dell’esilio. Celebra le benedizioni del Signore, di Israele, tutto quello che hai fatto per noi, per i nostri padri, e poi:
“Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati.
Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia.
Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato,(ecco il culto: il cuore contrito e lo spirito umiliato) come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli.
Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,perché non c’è confusione per coloro che confidano in te.
Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto. Fa’ con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia.
Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria, Signore, al tuo nome”. (Dan 3,37-43).
Questa è la Nuova Alleanza. Per carità, dopo l’esilio si ritorna. Neemia comincerà a ricostruire l’altare, ci sarà il tempio ricostruito. Zorobabele e il sacerdote Giosuè stabiliranno i sacrifici; questo è giusto, si deve tornare al culto dei segni, ma provenendo dal culto dell’esistenza.
Deve essere chiaro che prima di tutto ci vuole l’io e poi ci vorranno le vesti, l’incenso, le musiche, i segni, le benedizioni…
E’ stata una rieducazione di Dio al suo popolo; è stata una grande lezione per riscoprire che cosa viene prima e che cosa viene dopo, che cosa è essenziale, senza del quale tutto il resto è vano oppure invece che cosa è accessorio, anche se sommamente conveniente, perché il popolo esprima il suo culto pubblicamente.
Il miserere:
“Crea in me un cuore pure, rinnova in me uno spirito saldo! Apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode! Poiché non gradisci il sacrificio e se offro olocausti non li accetti; uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi”.
Il timore del Signore è il sacrificio vero!
“Nel tuo amore fa’ grazia a Sion; rialza le mura di Gerusalemme; allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare”.
Ricostruiamo la città, il tempio, forse più modestamente di quello di Salomone; allora ti saranno graditi i sacrifici. Il profeta non è contro il sacerdote, è lui stesso il sacerdote.
Il profeta è contro il culto vuoto dei segni senza sostanza, dei sacramenti senza fede, speranza e carità e questo è il nostro sacerdozio, non quello di Aronne e dei leviti e in questo essere sacerdote che è essere un uomo devoto del Signore.
Questo è il sacerdozio radicale, il sacerdozio dei fedeli che viene prima del sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio dei fedeli, che è il sacerdozio del popolo di Dio e il sacerdote-ministro non è dispensato dall’essere sacerdote nella sua esistenza, nel suo corpo.
Per questo: gli esercizi spirituali sono prima di tutto del ministro poi verrà anche il ministero. La dedizione, la presentazione al tempio, l’Amen dentro il sì che Dio ci dice: questo è il punto essenziale che riannoda la relazione tra l’uomo e Dio” . (Ai sacerdoti della Diocesi di Roma).
Una premessa che ci voleva. Un dono dello Spirito l’avermi messo su questa pista. In tali considerazioni è già sintetizzata tutta la santità di Erminio Riccardo Pampuri.
Nelle pagine successive si vorrebbe provare a scavare, a prendere il largo nel mare della sua umanità “che rimane tale e pur diventa diversa”.
La pesunzione di voler ribaltare una certa ottica, mi fa correre un rischio elevato: quello di deludere l’attesa. Ma è l’unica via praticabile. Le antenne, purtroppo, sono quello che ho. Epperò lo Spirito di Dio che invoco e l’intercessione dell’interessato, sono l’unica garanzia a disposizione della penna che ardisce cimentarsi nell’impresa. Il solo antidoto agli abusi retorici.
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